La Svizzera è un nodo nevralgico del traffico illegale d'arte grazie all'ingente numero di persone abbienti pronte ad acquistare tesori trafugati. Una legge federale c'è - dal 2003 - ma non basta a garantire la trasparenza del viaggio che fa un'opera d'arte dal furto alla casa di un collezionista. E per evitare che la compravendita di beni culturali si intrecci con il riciclaggio di denaro.
Per di più, dal 2003 c'è un'apposita legge federale, grazie alla quale la Confederazione ha ratificato - con 30 anni di ritardo - la Convenzione UNESCO che dal 1970 vieta l'importazione e l'esportazione illegale di beni culturali. Ci sono voluti dieci anni a scrivere la legge svizzera, un processo che ha patito la pressione dalle lobby interessate ad impedire trasparenza e legalità. Lo conferma Andrea Raschèr, il giurista che ha elaborato un testo di cui si ritiene la mamma e non il papà "perché la gestazione è stata lunga e complessa".
Raschèr, specializzato in diritto dell'arte, alla fine degli anni Novanta era di casa all'Ufficio federale della cultura e portò avanti con passione l'incarico che gli era stato affidato dalla consigliera federale Ruth Dreifuss: redigere le norme per impedire che la Svizzera continuasse ad essere un crocevia per il traffico illegale di beni culturali. Mai avrebbe immaginato il giurista di "ricevere ogni settimana, dai più importanti uffici di avvocati, corpose prese di posizione sul testo che stavo scrivendo, che alla fine arrivarono a diverse migliaia di pagine". Racconta Raschèr che ci vollero ben dieci anni per finalizzare la legge.
E se al tombarolo restano in tasca cifre modeste, il resto della catena dell'illegalità segna profitti a molti zeri, come racconta il giurista Andrea Raschèr facendo il bilancio di vent'anni dell'entrata in vigore della legge federale. ... Volendo migliorare l'efficacia della legge, continua Raschèr: "si potrebbe partire da un aumento del personale delle dogane, e da più ispezioni - soprattutto nei porti franchi, soprattutto a Ginevra. Come tutti sanno, si tratta di magazzini in cui vengono conservati vini pregiati e patrimoni legittimi, ma anche beni culturali - non tutti legalmente detenuti. In questi porti franchi - che io chiamo 'la Caverna di Ali Babà' - ci sono ancora oggi solo controlli a campione. Non basta, se si vuole davvero contrastare il traffico delle opere d'arte".
Secondo il giurista, bisognerebbe intervenire anche su chi acquista: "La legge impone al mercante d'arte di conservare per 30 anni i dati della persona che vende il bene culturale al mercante con la descrizione degli oggetti, e questo è un bene. Perché l'azione di controllo sia efficace, però, anche l'acquirente dovrebbe tenere un analogo registro. Volevamo inserire questa norma nel testo originario, ma UDC e Liberali si sono opposti".
Resta la domanda più complessa e delicata: cosa rende la Svizzera tanto appetibile per il mercato illegale dell'arte? Risponde Raschèr: "Il problema è che il commercio dei beni culturali non è regolamentato dalle regole sul riciclaggio. Significa che il mercante d'arte non è considerato un intermediario finanziario, e può sempre scaricare la responsabilità sulla banca". Inoltre, il bene culturale ha un prezzo molto variabile che viene fissato con grandi margini di discrezionalità, può quindi essere molto alto e diventare un'occasione d'oro per riciclare denaro. L'esperto sottolinea: "La lobby dei collezionisti svizzeri è molto influente, sono tra le persone più ricche del Paese. Questo commercio, per quanto importante, non è un pilastro dell'economia - eppure è molto ben protetto". E anche le pene per la violazione della legge federale, in definitiva, sono piuttosto miti.